TAR Calabria - Catanzaro, Sez.I - Sentenza dell'8 settembre 2018 n.1564

Territorio e autonomie locali
8 Settembre 2018
Categoria 
13 Attività contrattuali della P.A.13.05 Provvedimenti interdittivi antimafia
Principi enucleati dalla pronuncia 

Il rischio di permeabilità mafiosa dell’impresa non può essere desunto dai rapporti di parentela, ma deve essere supportato da elementi concreti e certi, idonei a rappresentare l’esistenza concreta del suddetto pericolo.
In tal senso la neutralità, di per sé solo, del dato parentale o familiare ai fini dell’assunzione di un provvedimento di tale gravità, è stata più volte posta in rilievo dalla giurisprudenza della III Sezione del Consiglio di Stato, la quale ha sostenuto che “la parentela o affinità con soggetti risultati appartenenti alla criminalità organizzata non è di per sé fattore idoneo, in assenza di ulteriori elementi, a dare conto del tentativo d'infiltrazione, in quanto non può in alcun modo instaurarsi un vero e proprio automatismo tra un legame familiare sia pure tra stretti congiunti, ed il condizionamento dell'impresa, che deponga nel senso di un’attività sintomaticamente connessa a logiche e ad interessi malavitosi” (Consiglio di Stato, sez.III, 18 dicembre 2015, n.5737).
Se infatti è vero, in base a regole di comune esperienza, che il vincolo di sangue può esporre il soggetto all'influsso dell'organizzazione, se non addirittura imporre (in determinati contesti) un coinvolgimento nella stessa, tuttavia l’attendibilità dell’interferenza dipende anche da una serie di circostanze ed ulteriori elementi indiziari, che qualifichino una immanente situazione di condizionamento e di contiguità con interessi malavitosi (ex multis Consiglio di Stato, sez.III, 27 febbraio 2015, n.983).
Il rapporto parentale riveste rilevanza ai fini dell’emanazione dell’informazione antimafia laddove lo stesso “per la sua natura, intensità o per altre caratteristiche concrete, lasci ritenere, per la logica del "più probabile che non", che l’impresa abbia una conduzione collettiva e una regìa familiare (di diritto o di fatto, alla quale non risultino estranei detti soggetti), ovvero che le decisioni sulla sua attività possano essere influenzate, anche indirettamente, dalla mafia attraverso la famiglia, o da un affiliato alla mafia mediante il contatto col proprio congiunto” (ex multis Consiglio di Stato, sez.III, 13 aprile 2018, n.2231; 7 febbraio 2018, n.820; 3 maggio 2016, n.1743).
È necessario, quindi, secondo la giurisprudenza, un quid pluris rispetto alla sola constatazione dei legami familiari con soggetti mafiosi o contigui a organizzazioni malavitose per supportare il giudizio di pericolo di infiltrazione o condizionamento da parte di sodalizi criminali, assumendo rilevanza “circostanze obiettive (a titolo meramente esemplificativo, ad es., la convivenza, la cointeressenza di interessi economici, il coinvolgimento nei medesimi fatti, che pur non abbiano dato luogo a condanne in sede penale)” mentre non appare possibile, come accennato, stabilire alcun “automatismo” tra legame familiare e sussistenza del rischio infiltrativo.
Ciò anche in ragione della necessità di bilanciare la tutela preventiva del mercato (dalla forza pervasiva di penetrazione dell’imprenditoria mafiosa) con la libertà di iniziativa economica privata di cui all’art.41 Cost., esigenza, anch’essa, in più circostanze rappresentata in giurisprudenza stante la indubbia gravità delle conseguenze discendenti dall’interdittiva, da apprezzarsi in termini di severa compressione dell’autonomia contrattuale e di incapacità giuridica ex lege (sebbene “parziale” e tendenzialmente “temporanea”: cfr. Consiglio di Stato, Ad. Plen., 6 aprile 2018, n.3) che colpisce il soggetto attinto dalla misura (Consiglio di Stato, sez.III, 3 maggio 2016 n.1743; Consiglio di Stato, sez.III, 31 dicembre 2014 n.6465).