Come pacifico in giurisprudenza, l'adozione delle misure apprestate dall'ordinamento in materia di prevenzione antimafia, in considerazione della natura del potere esercitato, espressione di una comprensibile logica di anticipazione della soglia di difesa sociale finalizzata ad assicurare una tutela avanzata nel campo del contrasto alle attività della criminalità organizzata, non necessariamente deve fondarsi su dati formali ma "può essere sorretta da elementi sintomatici e indiziari da cui emergano sufficienti elementi del pericolo che possa verificarsi il tentativo di ingerenza nell'attività imprenditoriale della criminalità organizzata" (Cons. Stato, sez.III, 7 aprile 2017, n.1638; nei medesimi sensi Cons. St., sez.III, 7 aprile 2017, n.163). L'indeterminatezza e conseguente estrema variabilità degli elementi valutabili ai presenti fini e la sufficienza di una loro rilevanza anche solo potenziale, richiedono che la colpa dell'Amministrazione venga valutata con estrema prudenza, relegando la configurazione della stessa ad ambiti nei quali l'apprezzamento dell'elemento indiziante sia avvenuto in maniera palesemente illogica ed irragionevole, assumendo a presupposto della misura indizi non solo non pienamente probanti (sicuramente rilevanti ai fini del giudizio di legittimità dell'atto) ma anche palesemente inconferenti. Diversamente opinando, verrebbe meno ogni funzione preventiva dell'interdittiva antimafia che si configurerebbe come una mera presa d'atto di fatti e situazioni accertati in altra sede e ad altri fini.