PRESUNTA INCOMPATIBILITA DI UN CONSIGLIERE COMUNALE CHE HA PROPOSTO RICORSO AL TAR PER L'ANNULLAMENTO DI UNA ORDINANZA DI SGOMBERO ED ACQUISIZIONE AL PATRIMONIO DEL COMUNE DI UN IMMOBILE DI PROPRIETA' DEI FIGLI DEL PREDETTO AMMINISTRATORE.

Territorio e autonomie locali
24 Febbraio 2015
Categoria 
12.01.04 Incompatibilità
Sintesi/Massima 

LA SITUAZIONE DI INCOMPATIBILITA' NON SUSSISTE TRA IL COMUNE ED IL CANDIDATO CHE ABBIA PROMOSSO, QUALE RAPPRESENTANTE, NEL NOME E PER CONTO DI ALTRI UNA LITE CONTRAO L'ENTE PUBBLICO.

Testo 

Classifica 15900/TU/00/63 Roma, 24 febbraio 2015

OGGETTO: Comune di ........... Incompatibilità ex art. 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267. Quesito.

Con la nota sopra indicata codesta Prefettura ha chiesto l'avviso di questo Ministero in ordine all'eventuale esistenza della causa di incompatibilità di cui all'art. 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nei confronti di un consigliere comunale di ......., il quale, in qualità di esercente la potestà genitoriale, ha proposto ricorso al T.A.R. per il Lazio, finalizzato ad ottenere l'annullamento di un'ordinanza comunale di sgombero ed acquisizione al patrimonio dell'ente di un immobile di proprietà dei figli del predetto amministratore, all'epoca minorenni.
In via preliminare, si osserva che, come chiarito in giurisprudenza, le cause di incompatibilità di cui alla disposizione citata, ascrivibili al novero delle c.d. incompatibilità di interessi, hanno la finalità di impedire che possano concorrere all'esercizio delle funzioni dei consigli comunali soggetti portatori di interessi confliggenti con quelli del comune o i quali si trovino comunque in condizioni che ne possano compromettere l'imparzialità (cfr. Corte costituzionale, sentenza 20 febbraio 1997, n. 44; Id., sentenza 24 giugno 2003, n. 220).
In particolare, ad integrare la condizione di pendenza della lite ai sensi della norma in questione non basta la pura e semplice constatazione dell'esistenza di un procedimento civile o amministrativo, nel quale risultino coinvolti, attivamente o passivamente, l'eletto e l'ente territoriale, ma occorre che a questo indispensabile dato formale corrisponda una concreta contrapposizione di parti, ossia una sostanziale situazione di conflitto. In altri termini, la 'lite' deve, in ogni caso, riflettere uno scontro di interessi, ossia una pretesa di un soggetto di conseguire da un altro, che glielo contesta, qualche bene della vita. Inoltre, tenuto presente che nella norma il concetto di 'lite pendente' viene esplicitato nell'essere 'parte in un procedimento civile o amministrativo . con la regione, la provincia o il comune', per potersi ravvisare l'incompatibilità di che trattasi, occorre che i soggetti in conflitto di interessi siano divenuti parti contrapposte in un procedimento, e cioè abbiano assunto la qualità di parti in senso processuale. In altri termini, il concetto tecnico di 'parte del giudizio' ha portata essenzialmente processuale e -non è, pertanto, riferibile (in chiave sostanzialistica) alla diversa figura del 'soggetto interessato all'esito della lite' per le ricadute patrimoniali che possano derivargliene- (cfr. Corte di Cassazione, Sezione I Civile, sentenza 12 febbraio 2008, n. 3384; Id., sentenza 24 febbraio 2005, n. 3904; Id., sentenza 19 maggio 2001, n. 6880; Id., sentenza 9 aprile 1992, n. 4357; Id., sentenza 28 luglio 2001, n. 10335).
Muovendo da tali premesse, la giurisprudenza è univoca nel ritenere che la situazione di incompatibilità disciplinata dall'art. 63, comma 1, n. 4, del decreto legislativo n. 267 del 2000 -non sussiste tra il comune ed il candidato che abbia promosso, quale rappresentante, nel nome e nell'interesse di altri, una lite contro l'ente pubblico- (cfr. Corte di Cassazione, Sezione Prima Civile, sentenza 11 aprile 1972, n. 1102; Id., sentenza 29 maggio 1972, n. 1685, che si sono pronunciate in relazione all'analoga fattispecie prevista, quale causa di ineleggibilità, dall'abrogato art. 15, comma 1, n. 6, del decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570).
In tal senso, -nel caso di domanda proposta da un rappresentante, che agisce in giudizio in nome e per conto altrui, la qualità di 'parte' compete al rappresentato e non al rappresentante- (cfr. Corte di Cassazione, sentenza n. 6880/2000 cit.).
Tale interpretazione, intesa a salvaguardare il più generale principio di stretta applicazione e tassatività delle cause ostative all'assunzione ed all'espletamento del mandato elettivo, trova conferma nella richiamata sentenza n. 240 del 2 luglio 2008, con la quale il Giudice delle leggi ha dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale della norma de qua, nella parte in cui -non estende il suo effetto alle persone titolari della rappresentanza organica di soggetti che si trovino nella stessa situazione di lite pendente già prevista dalla norma stessa-.
Invero, una pronuncia di accoglimento avrebbe dato luogo ad un intervento additivo della Corte costituzionale, in contrasto con la tendenza normativa diretta a circoscrivere progressivamente l'ambito di applicazione della fattispecie di incompatibilità per lite pendente, nonché con il principio in virtù del quale spetta alla ragionevole discrezionalità del legislatore individuare il rimedio più appropriato alle diverse ipotesi di conflitto d'interessi, in relazione alla gravità di ciascuna. Ne discende che il rimedio in parola -può essere di volta in volta rappresentato non solo dalla ineleggibilità o dalla incompatibilità, ma anche dall'obbligo di astenersi o di dichiarare la situazione di conflitto-.
Alla luce delle considerazioni che precedono, sembra ragionevole ritenere che, nella fattispecie, non sia ravvisabile la prospettata situazione di incompatibilità.