Aspettativa non retribuita dipendente (nominato presidente Società r.l. a prevalente capitale pubblico) – Applicabilità disposizioni contenute T.U.E.L. n. 267/2000

Territorio e autonomie locali
4 Ottobre 2002
Categoria 
15.03.07 Aspettativa
Sintesi/Massima 

Possibilità accoglimento richiesta dipendente (nominato presidente S.r.l. a prevalente capitale pubblico) fruizione aspettativa non retribuita (art. 81, T.U.E.L. n. 267/2000) - Applicabilità detta disposizione (ai sensi art. 87) anche aziende speciali.

Testo 

Si fa riferimento ad una richiesta di parere con la quale è stato rappresentato che un dipendente di un comune, nominato presidente di una società a responsabilità limitata a prevalente capitale pubblico partecipata dal comune per una quota pari al 7,35%, ha chiesto di poter fruire dell'aspettativa non retribuita ai sensi dell'art. 81 del T.U.E.L. n. 267/2000.
Viene precisato che la società in parola ha lo scopo di promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali penalizzate dalla chiusura delle miniere del ferro.
A sostegno di quanto richiesto il dipendente adduce, quale motivazione, l'applicabilità, ai sensi dell'art. 87, della citata disposizione anche alle aziende speciali, le quali, a loro volta, sono suscettibili di trasformazione in società di capitali ai sensi dell'art 115 del citato testo unico.
Al fine di analizzare la possibilità di applicare la norma in argomento alla fattispecie in considerazione, giova esaminare la diversa natura giuridica delle aziende speciali e delle società a responsabilità limitata.
Le aziende speciali, infatti, benché siano dotate di propria personalità giuridica, di autonomia imprenditoriale, statutaria e gestionale, sono organismi strumentali dell'ente locale, i cui amministratori sono nominati e revocati secondo le modalità previste nello statuto dell'ente locale di riferimento. E' inoltre l'ente locale che conferisce il capitale in dotazione, ne determina le finalità e gli indirizzi, ne approva gli atti fondamentali, esercita la vigilanza e verifica i risultati della gestione.
Inoltre, la disposizione dell'art. 114, punto 4, che impone che l'attività delle aziende speciali sia improntata ai criteri di efficacia, efficienza ed economicità, tipici dell'attività amministrativa ne conferma la prevalente connotazione pubblicistica.
Per i consiglieri di amministrazione delle aziende speciali, inoltre è espressamente prevista l'estensione di alcune delle disposizioni contenute nel capo IV titolo II riferite agli amministratori, e solo 'sino all'approvazione della riforma in materia di servizi pubblici locali'. Tale espressione conferma il contenuto di norma derogatoria, limitandone l'applicabilità all'ipotesi considerata dalla stessa.
La società a responsabilità limitata, invece, anche nel caso in cui sia caratterizzata da finalità di interesse pubblico, continua ad assumere, per il regime giuridico di natura strettamente civilistica da cui è regolata, una connotazione non assimilabile a quella delle aziende speciali e dei consorzi dei comuni.
Il fatto che l'azienda speciale sia suscettibile di trasformazione in società per azioni, secondo determinati criteri e modalità disciplinati dall'art. 115 del T.U.E.L., non determina di per sé l'equiparazione delle predette aziende alle società per azioni partecipate dell'ente locale, oggetto di autonoma, specifica disciplina. Peraltro le società di capitali costituiscono una delle forme alle quali fa riferimento l'art. 113 bis del testo unico introdotto dall'art. 35, punto 15, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, il quale prevede che l'ente affidi la gestione dei servizi pubblici locali privi di rilevanza industriale, a società di capitali costituite o partecipate dall'ente stesso, regolate dal codice civile, o a mezzo di società per azioni non aventi il vincolo della proprietà pubblica maggioritaria (art.116 T.U.E.L.).
Il discrimine tra attività gestita in regime di diritto pubblico e attività disciplinata dalle regole privatistiche si ripercuote sulla disciplina cui sono assoggettati gli amministratori dell'ente pubblico o privato di riferimento.
Lo status di amministratore pubblico, infatti, è positivamente regolato dagli artt. 77 e segg. del T.U.E.L..
E' lo stesso legislatore che ha stabilito, in relazione all'applicabilità delle disposizioni del titolo III, capo IV del citato testo unico, quali categorie di persone devono essere qualificate amministratori, e che ha inteso fornire un'elencazione dettagliata e puntuale dei destinatari delle predette prerogative, includendo in essi non solo coloro che sono amministratori in virtù di un'elezione diretta, ma anche a seguito di successiva nomina (assessori) o di elezioni di secondo grado (consiglieri di comunità montane o consorzi, amministratori di aziende speciali).
Le prerogative connesse allo status di amministratore, infatti, consentono agli stessi di far fronte alle responsabilità derivanti dal ricoprire una carica pubblica, conferita o in forza di un mandato elettivo, o in forza di un incarico attribuito da parte degli amministratori, per la gestione di un'attività pubblica, intesa come attività istituzionale, volta alla cura degli interessi della collettività rappresentata (tra queste il servizio pubblico gestito a mezzo di azienda speciale).
Occorre allo stesso tempo richiamare l'attenzione sul fatto che al predetto status sono imprescindibilmente connessi responsabilità e doveri tipizzati, quali il dovere di attenersi al principio di imparzialità e di buona amministrazione, il dovere di astenersi nelle deliberazioni che possono comportare un conflitto di interessi tra cosa pubblica e interesse privato e così via.
E' nel quadro di questa intima connessione tra doveri, responsabilità e prerogative che va considerata l'impossibilità di estendere a forme di gestione di tipo squisitamente privatistico, quali la società a responsabilità limitata, le garanzie previste per gli amministratori pubblici, volte a salvaguardare il raggiungimento dell'obbiettivo della cura della 'cosa pubblica'.
Infine, non sembra possibile inquadrare la fattispecie in argomento nella previsione dell'art. 23-bis del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165, introdotto dall'art. 7 dalla legge 15 luglio 2002, n. 145, il quale nel disciplinare la mobilità tra pubblico e privato, prevede espressamente per i dirigenti delle pubbliche amministrazioni la possibilità di essere collocati, a domanda, in aspettativa senza assegni, per lo svolgimento di attività presso organismi pubblici e privati, i quali sono tenuti a provvedere al relativo trattamento previdenziale.
Tale norma, che ha come destinatari esclusivamente i dirigenti, in quanto norma di carattere derogatorio, non è suscettibile di interpretazione analogica e, pertanto, non può ritenersi applicabile al restante personale.