TAR Lazio, sez. Prima Ter, sentenza n. 10077 del 30 settembre 2014

Territorio e autonomie locali
30 Settembre 2014
Categoria 
15 Controllo sugli Organi
Principi enucleati dalla pronuncia 

La controversia ricade nella giurisdizione del giudice amministrativo, in quanto la disposizione di servizio resa dal Comune è stata emessa in doverosa esecuzione del provvedimento ministeriale adottato ai sensi dell’art. 143 c. 5 del D.Lgs. 267/2000. L’unico ambito di discrezionalità lasciato al datore di lavoro riguarda la scelta dello specifico ufficio di assegnazione, essendo per il resto vincolato a disporre il trasferimento della dipendente presso altro servizio.
L'Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 3 del 2011, intervenendo sulla questione dei rapporti fra domanda di annullamento e domanda di risarcimento del danno, con riferimento all'ipotesi in cui la domanda di annullamento dell'atto lesivo sia dichiarata irricevibile per tardività, ha chiarito come la domanda di risarcimento danni debba essere esaminata dal giudice amministrativo anche se l'azione per l'annullamento dell'atto lesivo sia stata da lui dichiarata irricevibile tenuto conto che il codice del processo amministrativo, all'art. 30, ha espressamente previsto l'autonomia dell'azione risarcitoria nel processo amministrativo rispetto a quella di annullamento, superando definitivamente la questione della c.d. pregiudizialità amministrativa.
E tuttavia, nella verifica della sussistenza dei presupposti di fondatezza della pretesa risarcitoria, ex art. 2043 c.c., la mancata impugnazione dell'atto lesivo ( come anche l'impugnazione irricevibile o inammissibile) assume specifico rilievo ai fini della configurazione del nesso di causalità fra fatto lesivo e danno risarcibile.
Assume rilievo, in particolare, il disposto dell'art. 1227, comma 2, del codice civile - norma applicabile anche in materia aquiliana per effetto del rinvio operato dall'art. 2056 - che, considera non risarcibili i danni evitabili con un comportamento diligente del danneggiato.
L'Adunanza, riprendendo le indicazioni già in precedenza fornite, reputa infatti che la regola della non risarcibilità dei danni evitabili con l'impugnazione del provvedimento e con la diligente utilizzazione e degli altri strumenti di tutela previsti dall'ordinamento, oggi sancita dall'art. 30, comma 3, del codice del processo amministrativo, sia ricognitiva di principi già evincibili alla stregua di un'interpretazione evolutiva del capoverso dell'articolo 1227 cit..
 La norma, secondo la Plenaria, introduce un giudizio basato sulla cd. causalità ipotetica, in forza del quale non deve essere risarcito il danno che il creditore non avrebbe subito se avesse serbato il comportamento collaborativo cui è tenuto, secondo correttezza e, sul piano teleologico, costituisce espressione del più generale principio di correttezza nei rapporti bilaterali.
Nel novero dei comportamenti esigibili dal destinatario di un provvedimento lesivo, secondo la Plenaria, è sussumibile, ai sensi dell'art. 1227, comma 2, c.c., anche la formulazione, nel termine di decadenza, della domanda di annullamento, quante volte l'utilizzazione tempestiva di siffatto rimedio sarebbe stata idonea, secondo il ricordato paradigma della causalità ipotetica basata sul giudizio probabilistico, ad evitare, in tutto o in parte, il pregiudizio.